Vexations sur Vexations

Vexations è forse l’opera che più di ogni altra realizza l’intuizione di Erik Satie verso una “musique d’ameublement”, musica che non deve essere ascoltata ma che deve invece svolgere la funzione di una tappezzeria.

Sebbene il titolo non lo dichiari esplicitamente, le istruzioni per l’esecuzione di Vexations hanno portato a realizzazioni che, con le sue prescritte 840 ripetizioni, più si avvicinano ad una idea di continuità senza fine, vicina alla completa staticità.

Per chi non ne sapesse già abbastanza, rimandiamo a wikipedia (it, en) e ad un breve estratto della esecuzione completa. Lo stesso per Musique d’ameublement (in attesa di un post dedicato che arriverà, prima o poi …).

Dopo la prima rappresentazione curata da John Cage nel 1963, il numero di esecuzioni è rapidamente cresciuto e ha raggiunto vertici insospettabili, anche con l’aiuto di youtube e dei numerosi esecutori, anche amatoriali, che vi si affacciano.

Questa volta, però, (o almeno: per ora) non vi proponiamo la solita playlist di esecuzioni. Vi segnaliamo invece la registrazione di “Pianoless Vexations”, una esecuzione di 8 ore tenutasi presso The Sculpture Center a New York l’11 giugno 2006 (11-7pm) realizzata da strumenti e organici diversi dal pianoforte prescritto (ma – contateci – solo per pigrizia) da Satie.

La potete trovare su ubu.com/sound/vexations.html.

L’ambientazione presso un museo di arte plastica è più che eloquente: seppure tutte le esecuzioni siano limitate a ca. 20 minuti e quindi nessuna completi il ciclo di 840 ripetizioni, tutte si proiettano in una dimensione atemporale, che tende piuttosto ad esprimere lo spazio, che il suono si limita ad occupare.

Ne commentiamo alcune (vogliate perdonarci lo slancio didascalico, ma il ruolo di sfondo non invasivo di questo ascolto induce, per l’appunto, alla scrittura).

Il trio di recorders di Daphna Mor, Rachel Begley, and Nina Stern ci porta in una atmosfera campestre prerinascimentale, frequentata da pastori intenti ad oziare accanto ai propri silenziosi animali. Il trio Bruce Arnold Jazz Trio li raggiunge insinuando una figura ritmica tra basso incalzante e echi lontani di chitarra, quasi ad annunciare una malaugurata visita di temibili esattori. Alan Licht and Angela Jaeger (20’21”) sono invece intenti in qualche faccenda domestica: passano il tempo canticchiando con la voce e la chitarra all’unisono, creando una figura ipnotica e attonita che ricorda alcune statuette di Barlach. Il quartetto String Messengers (18’05”) introduce invece un elemento di nervosismo ed impazienza, creando l’effetto, più che di una stanza ben arredata, di uno stretto corridoio che non si vede l’ora di attraversare completamente, cercando di affrettare il passo a costo di incespicare e respirare affannosamente. Fuori, la tromba di Greg Kelly, che ben poco si presta ad arredare un luogo chiuso (!), dipinge le pareti di uno spazio aperto, assenti ma che il suono rende palpabili. Lo raggiunge e lo affianca Miguel Frasconi, che elabora digitalmente suoni ottenuti dal vetro: anche lui disegna pareti virtuali in spazi aperti, ma questa volta sommersi nell’acqua, gironzolando tra coralli e pesci muti. D. Edward Davis and Erik Carlson dipingono l’atmosfera mesta di una giornata piovosa, suggerita dal violino, osservata attraverso le deformazioni digitali di una finestra imperlata di gocce e di condensa. Zachary Seldess “Vexations_6.11 (for solo laptop performer)” cerca faticosamente di ricostruire l’immagine di pareti sfocate, appannate, sgranate, appena riconoscibili al risveglio di un sonno ubriaco o infermo. Il toy piano di Margaret Leng Tan ci porta ineffabilmente nella stanza vuota di un bambino, dove pupazzi e giocattoli sparpagliati a terra attendono pazientemente il momento in cui potranno, come di consueto, rianimarsi. Il clavicembalo di Trudy Chan ci costringe invece a spostarci di stanza in stanza, ognuna adornata in differente stile, secondo l’abituale gusto barocco. Forse a surrogare l’ipotesi (?) che la musique d’ameublement sia stata inventata ben prima di Satie. Ed è evidentemente dello stesso parere Matthew Ostrowski, ci accompagna in un viaggio intergalattico dove possiamo attraversare, tra le nebbie spaziali, le singole note del tema, già esposto anni luce or sono. Lo shamisen di Kenta Nagai ci riporta sulla terra, ma ad oriente, dove pareti e tappezzeria sono una cosa sola. Infine, il trio di archi e corde di Rick Moody, Tianna Kennedy & Hannah Marcus, sarà per per il tono mesto, sarà per le rarefatte frasi cantate come in un salmo, sarà perché è l’ultimo della lista, ci ricorda una camera ardente, tutti seduti e silenziosi a ricordare chi ci ha lasciato, forse proprio Satie.

(finale triste? che volete farci … ci dispiace …)

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